Pagamenti digitali: l’Italia si adegua all’Europa, ma il fascino del contante resiste

Nel 2019, secondo la Commissione Europea, l’Italia era tra gli ultimi posti in Europa per ricorso al denaro elettronico, con solo il 29% dei pagamenti effettuati con carte e altri dispositivi. La pandemia del 2020 ha dato una scossa al sistema, però: il timore del contagio ha ridotto l’uso del contante e promosso soprattutto i pagamenti contactless. E nel 2022, secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, si è raggiunta la somma di 397 miliardi di euro (cioè circa il 40% dei consumi annuali del Paese) pagati con sistemi digitali, con un aumento complessivo del 18% rispetto al 2021 di ben il 45% per il contactless (cioè 186 miliardi di euro). Mentre i cosiddetti “pagamenti innovativi”, come quelli con smartphone e orologi smart, sono aumentati del 107%.

Questo però non vuol dire che la tradizionale predilizione italiana per il contante sia sparita. Secondo un rapporto di Minsait, una multinazionale di consulenza nell’ambito della trasformazione digitale, le banconote nel 2022 hanno riguadagnato terreno, lo scorso anno: l’utilizzo dei contanti è il mezzo di pagamento preferito dal 31% degli intervistati (un aumento sostanziale, rispetto al 19,3% del 2021). E in generale, l’Italia si è comunque attestata al primo posto tra i Paesi europei per utilizzo del contante.

Del resto, anche un’indagine europea della Bce (nel 2022) indicava che la maggior parte degli europei intervistati considerano avere a disposizione l’opzione di pagare in contanti importante o molto importante. Ma in genere, come emerge dai sondaggi, nei Paesi Ue il contante viene utilizzato soprattutto per pagamenti di piccolo valore presso i punti vendita.

Pos e problemi

Come è noto, da quest’anno esercenti e professionisti sono obbligati a dotarsi del Pos (che significa Point of Sale, punto di vendita). Per chi non lo fa, sono previste sanzioni di 30 euro a transazione, più il 4% del valore della stessa. Uno dei principali problemi per l’introduzione dell’obbligo del Pos, è quello dei costi di adozione, e in particolare delle spese di commissione, spesso considerate troppo alte per le singole attività. 

La legge stabilisce attualmente che le banche possono trattenere lo 0,2% per le transazioni con carta di debito o bancomat e lo 0,3% per quelle con carta di credito. Poi ci sono i circuiti di pagamento che prevedono commissioni dello 0,2% per il bancomat e fino allo 0,5% per le carte di credito. E infine c’è il costo del Pos, con una commissione dello 0,3/0,4 per cento. La stima, secondo Il Sole 24 Ore, è che le transazioni con il bancomat abbiano costi medi per l’esercente dello 0,7%, che arrivano all’1,2% per la carta di credito. 

Nel caso dei pagamenti sotto i 10 euro, molte banche già prevedono zero commissioni, mentre il circuito Bancomat aveva già azzerato le commissioni sotto i 5 euro fino al 2023.

Per venire incontro agli esercenti e alle altre categorie interessate, il governo ha confermato l’introduzione del Bonus Pos 2023, che prevede un credito di imposta del 30% sulle commissioni dei pagamenti elettronici per le attività con fatturato annuo fino a 400.000 euro. L’obiettivo del governo è soprattutto arrivare a zero costi per i commercianti nelle spese sotto i 10 euro. Ma è una soluzione che non può essere imposta, pena la bocciatura dell’Antitrust: dunque l’eventuale impegno di banche e altri operatori dovrà essere su base volontaria.