Agricoltura sociale, un lavoro terapeutico

L’agricoltura sociale ha una vocazione terapeutica. Gli anglosassoni la chiamano più precisamente care farming (agricoltura di cura), perché si tratta dell’uso di pratiche agricole per fornire o promuovere servizi di cura, salute mentale, assistenza sociale o educativa, producendo anche reddito. Ed è questa la missione di Agricoltura Capodarco, una coop nata dall’esperienza della Comunità di Capodarco, che oltre 50 anni fa, nelle Marche, ha iniziato il suo percorso d’inclusione delle persone con disabilità nella società. La comunità e il suo modello si sono poi diffusi in diverse regioni, tra cui il Lazio; ed è qui che è opera Agricoltura Capodarco, con le due sue sedi di Roma (alla Tenuta della Mistica) e  Grottaferrata, con annessi ristoranti e agroshop, dove si vendono appunto prodotti agricoli. Un modello di “fattoria sociale”, ispirata ai valori dell’inclusione sociale e dell’integrazione lavorativa, insieme alla centralità della persona e al rispetto dell’ambiente

Un servizio civile

Salvatore Stingo, 55 anni, presidente della cooperativa dal 2000, è arrivato qui come obiettore di coscienza, per il servizio civile, forte del suo diploma di perito agrario. Poi, affascinato dall’esperienza, da quel lavoro che è insieme anche impegno, denso di valori, ha deciso di restare nella coop, che è un’azienda e insieme una comunità. Oggi si occupa un po’ di tutto: dall’agricoltura vera e propria alla commercializzazione dei prodotti e ai ristoranti, dalla formazione alla gestione dei progetti sociali, finanziati dagli enti locali o dall’Unione Europea, che coinvolgono in gran parte giovani adulti, dai 18 ai 30 anni, e riguardano diversi temi, come la lotta al caporalato o l’autismo. 

In questo momento, sono una quarantina, le persone impegnate nei vari progetti. E la coop ha anche una convenzione con il Servizio Civile nazionale: diversi giovani, proprio come Salvatore – che dall’anno scorso è anche presidente di Confcooperative Fedagripesca Lazio – sono passati infatti da quell’esperienza, prima di iniziare a lavorare nell’agricoltura sociale. 

La formazione aiuta a cambiare ottica

“Facciamo sempre formazione, anche perché per noi è sempre necessaria, visto che facciamo tante cose diverse”, spiega Salvatore. “Le persone, qui da noi, devono imparare a gestire l’amministrazione, a occuparsi della ristorazione, dei negozi, dei campi… Non si finisce mai di imparare, e c’è ricambio di ruoli”.

“La differenza, quando si fa formazione e quando no, è evidente, molto. Si vede dai risultati. Talvolta bisogna anche un po’ forzare la mano con le persone, perché passare due ore a seguire un corso può essere pesante, considerando che spesso nella stessa giornata devi anche lavorare. E talvolta, la formazione è sottovalutata. Invece, aiuta a cambiare ottica. Quando abbiamo fatto un corso di ristorazione, guidato da un vero chef, la nostra organizzazione, in cucina e nel servizio, è cambiata quasi istantaneamente, è migliorata”.

Ogni tanto, Salvatore veste i panni del formatore anche al di fuori della sua coop, come nel caso di un corso sull’agricoltura ecocompatibile, a Latina, dove ha curato una sezione specifica sull’agricoltura sociale, spiegando come funzionano la l’organizzazione dei progetti e la gestione delle convenzioni. Perché ciò che lui e i suoi colleghi hanno imparato in questi anni – compresi gli errori da non ripetere – è diventato appunto materia di formazione, oltre che un tema sociale su cui riflettere.